domenica 12 gennaio 2014

 
Commento sui provvedimenti relativi ad aziende speciali, istituzioni e società partecipate contenuti nella Legge stabilità 2014 n. 147/2013

 La legge di stabilità 2014 (n. 147/2013), nei commi 550-569 (vedi allegato) ha riscritto tutta una serie di norme relative al rapporto tra Pubbliche Amministrazioni Locali e Aziende speciali, istituzioni e società partecipate dalle stesse. Esse innovano significativamente sia rispetto ad impostazioni precedenti relative all’assoggettamento al Patto di stabilità degli Enti locali di tali forme gestionali, ma anche rispetto alle norme che erano entrate inizialmente nella prima stesura della legge di stabilità stessa.

1.In termini generali, i commi da 550 a 569 della legge di stabilità intervengono sull’insieme dell’universo delle aziende speciali, istituzioni e società partecipate dipendenti dagli Enti Locali, a prescindere dall’oggetto della loro attività: comprendono, ad esempio, sia le forme gestionali che riguardano i servizi pubblici locali (acqua, gas, igiene ambientale, trasporto pubblico locale, energia, ecc.) sia quelle relative alle attività strumentali (servizi informatici, di pulizia, manutenzione ecc.). L’idea portante lì contenuta è quella di valutare l’economicità della gestione: in buona sostanza, il riferimento di fondo è quello che aziende speciali, istituzioni e società partecipate devono avere un risultato economico positivo, altrimenti ciò comporta serie conseguenze sull’Ente Locale di riferimento. In generale, senza entrare in dettagli troppo tecnici, per risultato economico si intende il risultato di esercizio (o il saldo finanziario) di bilancio, mentre per le società che svolgono servizi pubblici a rete di rilevanza economica esso deriva dalla differenza tra valore e costi della produzione. Se si ha un risultato economico negativo, a partire dal 2015, gli Enti Locali proprietari o partecipanti sono obbligati ad accantonare in un apposito fondo vincolato un importo pari al risultato negativo non ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione. Inoltre, a decorrere dall’esercizio 2017, in caso di risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti, i soggetti gestionali diversi dalle società che svolgono servizi pubblici locali sono posti in liquidazione.

Poi, per le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti o che svolgono servizi strumentali vengono estese, con un atto di indirizzo dell’Ente Locale controllante, le limitazioni di carattere contrattuale e occupazionale che riguardano i lavoratori degli Enti Locali di riferimento (blocco parziale del turn-over e di contenimento dei trattamenti contrattuali). Sempre in tema di personale, si stabilisce che se la spesa relativa ad esso, comprendendo, oltre ai lavoratori dell’Ente Locale, anche quelli delle aziende speciali, istituzioni e società a partecipazione pubblica totale o di controllo, supera il 50% della spesa corrente, non si può procedere ad alcuna ulteriore assunzione di personale. Si stabiliscono inoltre processi di mobilità dei lavoratori tra società controllate, anche senza il consenso dei lavoratori stessi.

Infine, i provvedimenti contenuti nella Legge di stabilità abrogano i riferimenti all’assoggettamento al Patto di stabilità degli Enti locali per le aziende speciali, istituzioni e società partecipate e il divieto, introdotto con la spending review, di dar vita a nuove aziende speciali o società, nonché alla messa in liquidazione delle società strumentali e delle società partecipate nei Comuni con meno di 50.000 abitanti.

2. L’insieme di queste norme si differenzia in modo significativo da precedenti impostazioni. In particolare, con questo nuovo meccanismo, non si parla più di assoggettamento di aziende speciali e società a totale capitale pubblico al patto di stabilità degli Enti Locali. Quell’impostazione, che era stata avanzata dal Governo Monti con il decreto “liberalizzazioni” del gennaio 2012, viene dunque messa da parte, per affermare, invece, un approccio per cui i singoli soggetti gestionali devono presentare un risultato economico positivo. E’ bene peraltro ricordare che l’assoggettamento al Patto di stabilità era solo una previsione del governo Monti e non è mai stato attuato, perché doveva entrare in vigore con un decreto ministeriale da emettere entro il 31 ottobre, decreto che poi non è mai uscito. Quest’accantonamento dell’assoggettamento al Patto di stabilità degli Enti Locali fa venir meno uno degli alibi “preferiti” dalle Amministrazioni locali che non volevano procedere alla ripubblicizzazione dei servizi pubblici. Esse accampavano il ragionamento che costruire un unico bilancio consolidato tra Ente Locale e soggetti gestori (perché ciò implicava l’assoggettamento al Patto di stabilità) avrebbe esteso una serie di vincoli alle Aziende speciali (a partire dall’impossibilità di ricorrere all’indebitamento e quindi a effettuare gli investimenti) che ne avrebbero minato il funzionamento. Allo stesso modo, questa nuova impostazione fa giustizia della teorizzazione della situazione di “maggior sfavore” della gestione tramite l’Azienda speciale rispetto a quella della S.p.A. a totale capitale pubblico “in house”. Infatti, ormai, queste due soluzioni gestionali sono equiparate e, ora, dal punto di vista dei privatizzatori, semmai la vera differenza, in termini di minori vincoli, soprattutto rispetto al trattamento dei lavoratori (questione, però, controversa e affrontabile), passa tra S.p.A. mista, da una parte, e S.p.A. a totale capitale pubblico e Azienda speciale, dall’altra.

3. Va però notato che anche l’impostazione contenuta nella Legge di stabilità non è meno pericolosa di quella proposta precedentemente. L’anima privatizzatrice è ben presente anche in questo nuovo impianto. Infatti, ciò è reso evidente da almeno tre punti: il primo è che si prende come riferimento unicamente l’andamento economico positivo della gestione dei servizi, ribadendo una concezione economicista per cui questo parametro è la lente cui si guarda, senza misurarsi con un dato di efficacia ed efficienza sociale dei servizi. In secondo luogo, è profondamente sbagliato assumere l’indicatore dell’andamento economico della gestione in modo uniforme, senza differenziare l’analisi per settori o aree territoriali. Per esemplificare, il trasporto pubblico locale è strutturalmente in perdita, ne è pensabile che lì le tariffe possano coprire i costi del servizio, così come è profondamente differente la situazione di molte parti del Mezzogiorno rispetto ad altre aree del Paese. Soprattutto - ed è questo il terzo motivo - non può non sfuggire il provvedimento draconiano per cui, a partire dal 2015, se un soggetto gestore è in perdita, l’Ente locale deve accantonare in un fondo vincolato l’importo corrispondente. Non ci vuole molto a prevedere che, d’ora in avanti, il nuovo alibi delle Amministrazioni che vogliono privatizzare si tramuterà da “ non si può fare l’Azienda speciale perché viene sottoposta al patto di stabilità” al nuovo “non si può fare l’Azienda speciale perché, se va in perdita, ci costringe ad un ripiano impossibile per le nostre casse, che sono già vuote”. Ragionamento che, peraltro, è più facile da smontare del precedente, perché anche noi assumiamo il tema dell’esistenza del fattore dell’efficienza economica, senza mai dimenticare che, in primo luogo, i servizi devono rispondere a criteri di efficacia ed efficienza sociale e che essa va perseguita sapendo leggere le differenze e i diversi punti di partenza esistenti.

Insomma, la nostra battaglia va avanti, su un terreno che può essere meno impervio del precedente, ma che avrà bisogno della passione e dell’intelligenza collettiva che da sempre ci anima.

I commi interessati della Legge di stabilità

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