domenica 4 agosto 2013

In occasione delle vacanze la nostra rubrica estiva "per non assopire la coscienza" proporrà la lettura di una una serie di articoli il primo dei quali è il racconto di Evo Morales, fermato a Vienna come un criminale comune. Il 2 luglio scorso quattro paesi europei (Italia inclusa) gli hanno negato il diritto di sorvolo per ordine degli Usa. Tutta la storia su "Le Monde diplomatique" in uscita il 20 agosto con "il manifesto". 

Il 2 luglio scorso si è verificato uno degli avvenimenti più insoliti nella storia del diritto internazionale: il divieto di sorvolare i territori francese, spagnolo, italiano e portoghese, imposto all'aereo presidenziale dello stato plurinazionale di Bolivia, e poi il mio sequestro all'aeroporto di Vienna (Austria) per 14 ore. Settimane dopo, questo attentato contro la vita dei membri di una delegazione ufficiale, commesso da stati ritenuti democratici e rispettosi delle leggi, continua a sollevare indignazione.


Cos'è accaduto? Ero a Mosca, qualche istante prima dell'inizio di una riunione con Vladimir Putin, quando un assistente mi ha avvertito che c'erano difficoltà tecniche: impossibile recarci in Portogallo come inizialmente previsto. Tuttavia, quando termina il mio incontro con il presidente russo, diventa già chiaro che il problema non ha niente di tecnico...

Da La Paz, il nostro ministro degli Esteri, David Choquehuanca, riesce a organizzare uno scalo a Las Palmas di Gran Canaria, in Spagna, e a far approvare un nuovo piano di volo. Tutto sembra in ordine...

Eppure, dopo il decollo, il colonnello dell'aviazione Celiar Arispe, che comanda il gruppo dell'aereo presidenziale e quel giorno è anche il pilota, mi si avvicina: «Parigi ritira l'autorizzazione al sorvolo! Non possiamo entrare nello spazio aereo francese». Eravamo sul punto di farlo. Potevamo tentare di tornare in Russia, ma correvamo il rischio di restare senza carburante. Il colonnello Arispe ha perciò contattato la torre di controllo dell'aeroporto di Vienna per sollecitare l'autorizzazione a effettuare un atterraggio di emergenza. Che le autorità austriache siano ringraziate per averci dato il via libera. In un piccolo ufficio dell'aeroporto messo a mia disposizione, il pilota mi informa che anche l'Italia ci rifiuta l'entrata nel suo spazio aereo.

È in quel momento che ricevo la visita dell'ambasciatore di Spagna in Austria, Alberto Carnero. Mi annuncia che un nuovo piano di volo sta per essere approvato per farmi passare dalla Spagna. Solo, spiega, dovrà prima ispezionare l'aereo presidenziale. Altrimenti non potremo partire. Quando gli chiedo perché, Carnero evoca il nome di Edward Snowden, quell'impiegato di una società nordamericana alla quale Washington subappalta alcune delle sue attività di spionaggio. Rispondo che lo conosco solo attraverso i giornali. Ricordo anche al diplomatico spagnolo che il mio paese rispetta le convenzioni internazionali: non avrei in nessun caso cercato di estradare chicchessia verso la Bolivia.

Carnero è in contatto permanente con il sottosegretario agli Esteri spagnolo, Rafael Mendívil Peydro, che, in tutta evidenza, gli chiede di insistere. «Voi non ispezionerete questo aereo - dico - se non mi credete, vuol dire che trattate da bugiardo il presidente dello stato sovrano di Bolivia». Il diplomatico esce per prendere istruzioni dal suo superiore, poi ritorna. Mi chiede allora di invitarlo a «prendere un caffettino» sull'aereo. «Ma mi prendete per un delinquente? - ribatto - se volete entrare in questo aereo dovrete farlo con la forza. Non resisterò a un'operazione militare o poliziesca: non ne ho i mezzi».

Avendo certamente avuto paura, l'ambasciatore esclude l'uso della forza, non prima di aver precisato che, in tal caso, non potrà autorizzare il nostro piano di volo: «Alle 9 del mattino, vi faremo sapere se potete partire o no. Intanto, discuteremo con i nostri amici», mi spiega. «Amici? Ma chi sono dunque questi amici della Spagna a cui vi riferite? La Francia e l'Italia, forse?» Rifiuta di rispondermi e se ne va...

Approfitto per discutere con la presidente argentina Cristina Fernández, un'eccellente avvocata che mi guida nelle questioni giuridiche, e con i presidenti venezuelano e ecuadoregno Nicolás Maduro e Rafael Correa, entrambi molto preoccupati per noi. Correa mi richiamerà diverse volte nella giornata per avere notizie.

Questa solidarietà mi dà forza: «Evo, non hanno alcun diritto di ispezionare il tuo aereo!», mi ripetono. Sapevo che un aereo presidenziale usufruisce dello stesso status di un'ambasciata. Ma quei consigli e l'arrivo degli ambasciatori dell'Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America (Alba) moltiplicano la mia determinazione.

L'ambasciatore di Spagna riappare. Preoccupato, inquieto e nervoso, mi indica che dispone finalmente di tutte le autorizzazioni e che posso andarmene. Finalmente, decolliamo...

Questo divieto di sorvolo, decretato in modo simultaneo da quattro paesi e coordinato dalla Central Intelligence Agency (Cia) contro un paese sovrano con il solo pretesto che potessimo trasportare forse Snowden, mette in luce il peso politico della principale potenza imperiale: gli Stati uniti.

Fino al 2 luglio (data del nostro sequestro), tutti capivano che gli Stati si dotano di agenzie per la sicurezza per proteggere il proprio territorio e la propria popolazione. Ma Washington ha superato i limiti del concepibile. Violando le convenzioni internazionali, ha trasformato una parte del continente europeo in un territorio colonizzato. Un insulto ai diritti dell'uomo, una delle conquiste della Rivoluzione francese. Lo spirito coloniale che ha portato a sottomettere in questo modo diversi paesi dimostra una volta di più che l'impero non tollera alcun limite - né legale, né morale, né territoriale.

La potenza degli Stati uniti è sicuramente costituita dalle Forze armate, implicate in diverse guerre d'invasione e sostenute da un complesso militar-industriale fuori dal comune. Le tappe dei loro interventi sono ben note: dopo le conquiste militari, l'imposizione del libero scambio, quella di una singolare concezione della democrazia e, infine, la sottomissione delle popolazioni alla voracità delle multinazionali.

Il marchio indelebile dell'imperialismo - militare o economico - ha sfigurato l'Iraq, l'Afghanistan, la Libia, la Siria. Alcuni di questi paesi sono stati invasi perché li si sospettava di detenere armi di distruzione di massa o di ospitare organizzazioni terroriste. Paesi nei quali migliaia di esseri umani sono stati uccisi, senza che la Corte penale internazionale abbia intentato il minimo processo.

È la politica della «punizione esemplare», nel più puro stile coloniale: si pensi ai colpi di Stato contro Hugo Chávez in Venezuela nel 2002, contro il presidente honduregno Manuel Zelaya nel 2009, contro Rafael Correa nel 2010, contro il presidente paraguaiano Fernando Lugo nel 2012 e, naturalmente, contro il nostro governo nel 2008, per mezzo dell'ambasciatore nordamericano in Bolivia, Philip Goldberg.

L'«esempio», affinché gli indigeni, gli operai, i contadini, i movimenti sociali non osino risollevare la testa contro le classi dominanti. L'«esempio», per far piegare quelli che resistono e terrorizzare gli altri. Ma un «esempio» che porta ormai gli umili del continente e del mondo intero a raddoppiare i loro sforzi di unità per rafforzare le loro lotte. L'attentato che abbiamo subìto rivela i due volti di una stessa oppressione, contro la quale i popoli hanno deciso di ribellarsi: l'imperialismo e il suo gemello politico e ideologico, il colonialismo.

Il sequestro di un aereo presidenziale e del suo equipaggio - impensabile nel XXI secolo - illustra il persistere di una forma di razzismo in seno a certi governi europei. Per loro, gli indigeni e i processi democratici o rivoluzionari nei quali sono impegnati rappresentano ostacoli sulla via della civiltà. Questo razzismo si rifugia ormai nell'arroganza e le spiegazioni «tecniche» più ridicole per mascherare una decisione politica nata in un ufficio di Washington. Ecco dunque dei governi che hanno perso persino la capacità di riconoscersi come colonizzati, e che tentano di proteggere la reputazione del loro padrone...

* L'autore è il presidente della Bolivia, traduzione di Ermanno Gallo, copyright le monde diplomatique / il manifesto

Nessun commento:

Posta un commento