sabato 19 gennaio 2013



Acqua Napoli: 
le indagini sull’Arin Spa legittimano la ripubblicizzazione


di Raphael Pepe Pubblicato venerdì 18 Gennaio 2013

La città di Napoli continua ad essere al centro dell’attenzione per quanto riguarda la questione dell’acqua.



Un anno e mezzo dopo la netta vittoria ai referendum promossi dal Forum Italiano dei movimenti per l’acqua (www.acquabenecomune.org), un anno dopo la delibera conquistata dai movimenti per la trasformazione dell’Arin Spa in ABC Napoli, azienda speciale di diritto pubblico; ecco che la procura conferma quello sostenuto dai comitati rispetto ad aspetti poco chiari dell’ex S.p.A. napoletana.
In un articolo del Mattino del 12 gennaio vengono elencati 7 punti relativi alle “ombre sugli appalti”. Leggendo l’elenco, abbiamo la dimostrazione di quanto abbiamo sempre affermato: una SpA, pur se di proprietà 100% pubblica, risponde sempre al diritto privato e fa si che il più importante dei beni comuni venga gestito con logiche del tutto privatistiche.
Per capire la situazione, occorre prevalentemente ricordare qualche dettaglio della breve storia dell’Arin Spa. Nel 1996, il sindaco Bassolino nomino a capo dell’allora azienda municipalizzata, un suo fedelissimo Maurizio Barracco. Nel 1997, Barracco spinse il comune alla privatizzazione senza successo, polemizzando con lo Bassolino, che però nel 2000 trasformò l’azienda in Spa, lasciandolo sempre alla presidenza del Cda. Conserverà questa carica sopravvivendo a tutti i cambiamenti dello stesso, e questo per 12 anni. Nel 2004, Bassolino, allora Presidente della Regione Campania, fece una delibera aspettata da tempo da Barracco; prevedeva la privatizzazione dell’acqua nell’ATO2 Napoli-Caserta. Il processo fu allora bloccato dai comitati cittadini.


 Per dieci anni, anche l’ex sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino ha difeso con grande convinzione la scelta del suo predecessore di trasformare l’azienda S.p.a, sostenendo che questo statuto societario permettesse una miglior gestione. La verità è che la condizione Spa rendeva l’azienda più autonoma e permetteva giri di denaro più difficili da attuare con lo statuto pubblico.

Dalla trasformazione del 2000 si è innescata una vera e propria scatola cinese. In un primo luogo con l’assorbimento della Net Service, società edile diventata una partecipata dell’Arin Spa; nel gruppo quest’azienda aveva soprattutto il compito di curare la manutenzione degli impianti. Perché assorbire la Net Service e dividere il servizio idrico integrato tra due società quando una sola potrebbe curare tutti gli aspetti? Un’idea ce l’avevamo, ma era difficilmente dimostrabile che lo scopo fosse di permettere giri di denaro meno controllabili. In seno ai comitati, così come per alcuni lavoratori, era chiaro che dietro queste scelte ci potessero essere attività illecite.

Nel 2010 qualcosa ci fece capire che la nostra “intuizione” e le nostre preoccupazioni fossero fondate. Tramite la Net Service, il gruppo Arin Spa acquistava con denaro pubblico, la Marino Costruzioni Srl, società con un Cda composto da 4 membri e che contava un solo dipendente. Questa società, definita “fantasma”dai comitati, è stata assorbita per evitarle il fallimento e si è insediata in via Argine, nella sede del gruppo Arin.

La proposta di ripubblicizzazione dell’Arin si contrapponeva direttamente al gioco di scatole cinesi e movimenti poco chiari possibili con le S.p.a. Queste dinamiche di malagestione dei soldi pubblici tramite strumenti di mercato emergevano (ed emergono tutt’ora) in tutta Italia dalla sanità, ai rifiuti, dalle ferrovie, all’acqua.

Oggi la procura ci da ragione aprendo il dossier Arin Spa. L’atto d’accusa di Achille Serra - presidente dell’Autorità garante anticorruzione e trasparenza - contro l’Arin é lungo: «Emergono preoccupanti anomalie soprattutto nelle procedure di affidamento degli appalti. Risulterebbero disattesi gli obblighi imposti dal protocollo di legalità in materia di prevenzione antimafia negli appalti pubblici». Ci sono poi gli appalti senza pubblicazione di bando e affidati in maniera «troppo discrezionale», «mancanza di requisiti delle ditte vincitrici».

Secondo l’accusa, sarebbero le due società partecipate, la Net Service e la Marino Costruzioni ad essere state utilizzate come bracci operativi soprattutto per le forniture e gli appalti. Sono riassumibili in sette punti le questioni trasmesse alla procura:

- Affidamenti per l’assistenza e manutenzione della rete mediante ricorso alla procedura negoziata senza pubblicazione del bando e in assenza di adeguate motivazioni e per importo superiore al milione


- Carenza di programmazione di lavori, forniture e servizi
- Proroghe tecniche concesse in assenza di presupposti di legge con conseguente distorsione della concorrenza
- Acquisto di materiale elettrico con procedure in economia in assenza di presupposti normativi
- Procedura di gara per l’affidamento degli appalti ai servizi di call service di sorveglianza non armata di siti aziendali nella provincia di Caserta e di pulizia della sede aziendale di Napoli. Le tre procedure sono state indette con il criterio dell’offerta economica più vantaggiosa. Detta procedura conferisce alle commissioni di gara, che peraltro sarebbero state costituite in moto irrituale, un’ampia discrezionalità nella scelta del contraente nonostante che i servizi oggetto delle gare siano da considerarsi standardizzati e tali, pertanto, da potere essere aggiudicati con il criterio del prezzo più basso»
- Emergono anomalie anche in relazione alla gara per l’appalto di fornitura energetica
- Albo dei fornitori scaduto

Oltre alle frode evidenziate, lo statuto delle Spa non prevede la necessità di fare bandi di concorsi per assumere il personale e permette quindi più clientelismo delle vecchie municipalizzate. A dimostrarlo chiaramente, c’è lo scandalo di Parentopoli nella capitale; a Roma tutti i servizi locali sono gestiti da Spa miste pubblico-private. A Napoli, l’acqua é oggi gestita da un’azienda di diritto pubblico, ed é stato istituito un comitato di sorveglianza per vigilare su quanto decide il Cda.
Da questo punto di vista il modello di gestione attuato a Napoli é un modello da seguire, come lo é quello di Parigi.

Le notizie recenti dimostrano quanto voluto dai comitati ed attuato dall’attuale amministrazione comunale fosse stato più che necessaria; aspettiamo i primi risultati dell’azienda per dimostrare quanto i cambiamenti avvenuti possano influire sulla qualità del servizio.
Alcuni dubitavano sulla necessità di trasformare l’Arin Spa, in molti sostenevano che non ci fossero differenze tra una gestione di tipo Spa pubblica e una gestione di diritto pubblico, in quanto fosse sempre il Comune ad essere unico socio.

Oggi l’esempio di Napoli dimostra chiaramente che pur se di proprietà del Comune, i servizi pubblici locali non possono essere gestite da società che rispondono al diritto privato. Per un bene comune come l’acqua, ci vuole la trasparenza la più totale.

In più città d’Italia, l’acqua é gestita da Società per azioni cosiddette “pubbliche”; ci tocca insistere ancora oggi, un anno e mezzo dopo la vittoria referendaria per vedere scelte precise da parte dei sindaci di Milano, Torino, Venezia, e Palermo.

Nelle società che gestiscono l’acqua di questi comuni, non essendoci partecipazione privata, tutto dipende solo dalle scelte politiche. Ci vuole buonafede nel riconoscere che questa scelta non solo é ormai attuabile ed assolutamente necessaria, ma é anche l’applicazione della volontà espressa da 27 milioni di cittadini i 12 e 13 giugno del 2011.
Raphael PEPE

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