martedì 31 luglio 2012


Brevi note in merito alla
sentenza della Corte costituzionale
 n. 199/2012

            Alberto Lucarelli
Ordinario di diritto pubblico
Università di Napoli Federico II
  1. Le norme annullate

La Consulta, con sent. n. 199 depositata lo scorso 20 luglio, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 del d.l. n. 138/2011 (cd. decreto di Ferragosto) convertito con modificazioni dalla l. n. 148/2011.
La normativa impugnata, rubricata “Adeguamento  della  disciplina  dei  servizi   pubblici   locali   al referendum popolare e alla normativa dall'Unione europea”, riproponeva sostanzialmente la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica contenuta nell'art. 23-bis d.l. n. 112/2008 e abrogata con referendum del 12-13 giugno 2011. 
Tale riproposizione (da intendersi quale identità di ratio con la normativa abrogata nonché riproduzione di fatto di svariate disposizioni dell'art. 23-bis, pur nell'ipocrisia della rubrica adottata dal legislatore) costituisce un tradimento della volontà popolare espressa da oltre 26 milioni di italiani in occasione della consultazione referendaria ex art. 75 Cost. 

La Consulta aveva avuto più volte modo di affermare il divieto di sostanziale ripristino della normativa abrogata con referendum (cfr. sent. nn. 32 e 33/1993), ma senza mai tuttavia affermare in maniera così esplicita il vincolo referendario per il Parlamento. 
Nella fattispecie, peraltro, il ripristino era avvenuto ad appena 23 giorni dalla pubblicazione dell'esito della consultazione referendaria, senza che venisse dato modo alla volontà popolare di spiegare i propri effetti giuridici (è appena il caso di ricordare che il referendum abrogativo è un vero e proprio atto-fonte dell'ordinamento di rango primario, cfr. sent. n. 468/1990).
Occorre evidenziare che l'art. 4, successivamente alla proposizione dei ricorsi da parte delle varie Regioni, aveva subito numerose modifiche, in particolare per effetto dell'art. 9, co. 2, lett. n) l. n. 183/2011 (cd. legge di stabilità 2012) e dell'art. 25 d.l. n. 1/2012 convertito con modificazioni dall'art. 1, co. 1 l. n. 27/2012, nonché dell'art. 53, co. 1, lett. b) d.l. n. 83/2012, in fase di conversione. 
Le modifiche sopravvenute con l'art. 25 d.l. n. 1/2012 avevano limitato ulteriormente le ipotesi di affidamento dei servizi pubblici locali (ad es., affidamenti diretti solo per i servizi di valore inferiore a 200.000 euro; parere obbligatorio dell'AGCM) comprimendo ancor di più le sfere di competenza regionale (cfr. punto 2 considerato in diritto), in materia di SPL di rilevanza economica. 
Con la sentenza n. 199 la Corte costituzionale ha ribadito anche le competenze che Regioni ed enti locali hanno in materia di servizi pubblici locali a rilevanza economica alla luce della disciplina comunitaria (direttamente applicabile in materia all'esito del referendum, cfr. sent. n. 24/2012).
Si afferma, dunque, l'indispensabile ruolo svolto dall'ambito locale in sede di organizzazione di servizi strettamente legati alla sfera dei beni comuni e dei diritti fondamentali (si pensi al servizio idrico integrato, ma non solo).
Si ribadisce, inoltre, la piena legittimità dell'ipotesi di gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale in ossequio ai criteri fissati dal diritto comunitario (cfr. giurisprudenza CGCE sull'in house) (si veda il punto 5.2.1. del considerato in diritto).
In una prospettiva evolutiva, del tutto dentro i limiti fissati dal diritto comunitario (cfr. art. 106, par. 2 TFUE), ben possono ipotizzarsi modelli di gestione pubblica dei SPL alternativi all'in house providing (è il caso dell'azienda speciale di diritto italiano o, addirittura, dell'autoproduzione).
Implicitamente si afferma il principio dell'esistenza di un diritto pubblico europeo dell'economia.
L'annullamento delle suddette norme fa venire meno, inoltre, la tempistica procedurale fissata ai sensi dell'art. 25 d.l. n. 1/2012, in modifica dell'art. 4 d.l. n. 138/2011.
In particolare, è annullata la disciplina dettata nel co. 32, ai sensi della quale a) gli affidamenti diretti relativi a servizi il cui valore economico sia superiore alla somma di cui al comma 13 ovvero non conformi a quanto previsto al medesimo comma, nonché gli affidamenti diretti che non rientrano nei casi di cui alle successive lettere da b) a d) cessano, improrogabilmente e senza necessità di  apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre 2012. In deroga, l'affidamento per la gestione può avvenire a favore di un'unica società in house risultante dalla integrazione operativa di preesistenti gestioni in affidamento diretto e gestioni in economia, tale da configurare un unico gestore del servizio a livello di ambito o di bacino territoriale ottimale ai sensi  dell'articolo 3-bis. La soppressione delle preesistenti gestioni e la costituzione dell'unica società in house devono essere perfezionati entro il termine del 31 dicembre 2012. In tal caso il contratto di servizio dovrà prevedere indicazioni puntuali riguardanti il livello di qualità del servizio reso, il prezzo medio per  utente, il livello di investimenti programmati ed effettuati e obbiettivi di performance (reddittività, qualità, efficienza). La valutazione dell'efficacia e dell'efficienza della gestione e il rispetto delle condizioni previste nel contratto di servizio sono sottoposti a verifica annuale da parte dell'Autorità di  regolazione di settore. La durata dell'affidamento in house all'azienda  risultante dall'integrazione non può essere in ogni caso superiore a tre anni a decorrere dal 1º gennaio 2013. La deroga di cui alla presente lettera non si  applica ai processi di aggregazione a livello di ambito o di bacino territoriale che già prevedano procedure di affidamento ad evidenza pubblica;
    b) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui al comma 8, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e  l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio,    cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 31 marzo 2013.


  1. La questione dell'assoggettamento al patto di stabilità

Ai sensi dell'art. 3-bis, co. 5, d.l. n. 138/2011 cit. inserito ex art. 25, co. 1, lett. a), d.l. n. 1/2012, «Le società affidatarie in house sono assoggettate al patto di stabilità interno secondo le modalità definite dal decreto ministeriale previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni. L'ente locale o l'ente di governo locale dell'ambito o del bacino vigila sull'osservanza da parte delle società di cui al periodo precedente dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno».
Analogamente, le aziende speciali sono assoggettate al patto di stabilità interno.
Difatti, resta ferma la previsione di cui all'art. 25, co. 2, lett. a) d.l. n. 1/2012 convertito con modificazioni dalla l. n. 27/2012, ai sensi della quale «All'articolo 114 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
    a) dopo il comma 5 e' inserito il seguente:
      "5-bis. A decorrere dall'anno 2013, le aziende speciali e le istituzioni sono assoggettate al patto di stabilità interno secondo le modalità definite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri dell'interno e per gli affari regionali, il turismo e lo sport, sentita la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, da emanare entro il 30 ottobre 2012. A tal fine, le aziende speciali e le istituzioni si iscrivono e depositano i propri bilanci al registro delle imprese o  nel repertorio delle notizie economico-amministrative della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura del proprio territorio entro il 31 maggio di ciascun  anno. L'Unioncamere  trasmette al Ministero dell'economia e delle finanze, entro il 30 giugno, l'elenco delle predette aziende speciali e istituzioni ed i relativi dati di bilancio. Alle aziende speciali ed alle istituzioni si  applicano le disposizioni del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché le disposizioni che stabiliscono, a carico degli enti locali: divieto o limitazioni alle assunzioni di   personale; contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o   indennitaria e per consulenza anche degli amministratori; obblighi e limiti alla partecipazione  societaria degli enti locali. Gli enti locali vigilano sull'osservanza del presente comma da parte dei soggetti indicati ai periodi precedenti. Sono escluse dall'applicazione delle disposizioni del presente  comma aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, culturali e farmacie."»
Da ultimo, il primo comma dell'art. 6, d.l. n. 95/2012 (cd. spending review 2) dispone che «Le disposizioni di cui ai commi 587, 588 e 589 dall'articolo 1 della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006  (Legge Finanziaria 2007), costituiscono principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica ai fini del rispetto dei parametri stabiliti dal patto di stabilità e crescita dell'Unione europea si applicano anche alle Fondazioni, Associazioni, Aziende speciali, Agenzie, Enti strumentali, Organismi e altre unità istituzionali non costituite in forma di società o consorzio, controllati da amministrazioni pubbliche statali, regionali e locali indicate nell'elenco ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n.196 (Legge di contabilità e di finanza pubblica), e successive modifiche e integrazioni. Per controllo si deve intendere la capacità di determinare la politica generale o il programma di una unità istituzionale, se necessario scegliendo gli amministratori o i dirigenti».


  1. La Corte costituzionale (sent. n. 325/2010) e l'inapplicabilità delle spa in house e delle aziende speciali al patto di stabilità

La Corte costituzionale, con sent. n. 325/2010, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 23-bis, comma 10, lettera a), prima parte, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) – articolo aggiunto dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133 – sia nel testo originario, sia in quello modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, limitatamente alle parole: «l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e».
La norma de qua disponeva che «Il Governo, su proposta del ministro per i Rapporti con le Regioni ed entro centottanta giorni alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, nonché le competenti Commissioni parlamentari, adotta uno o più regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, al fine di:
a) prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno (…)».
La questione è stata ritenuta fondata, in quanto l’ambito di applicazione del patto di stabilità interno attiene alla materia del coordinamento della finanza pubblica (sentenze n. 284 e n. 237 del 2009; n. 267 del 2006), di competenza legislativa concorrente, e non a materie di competenza legislativa esclusiva statale, per le quali soltanto l’art. 117, sesto comma, Cost. attribuisce allo Stato la potestà regolamentare (cfr. sent. n. 325 cit., punto 12.6 considerato in diritto).
Pertanto, alla luce di tale sentenza, il patto di stabilità non si applica a società in house ed aziende speciali affidatarie dirette di servizi pubblici locali, che del modello in house, secondo il diritto comunitario ed il diritto interno, riflettono le caratteristiche fondamentali (capitale pubblico, attività dedicata, controllo analogo).


  1. Ulteriori elementi di inapplicabilità del patto di stabilità

Ai sensi dell'art. 4, co. 14, d.l. n. 138/2011 (dichiarato illegittimo con sentenza n. 199/2012), «Le società cosiddette "in house" affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali sono assoggettate al patto di stabilità interno secondo le modalità definite, con il concerto del Ministro (per gli Affari Regionali), in sede di attuazione dell'articolo 18, comma 2-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con legge 6  agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni. Gli enti locali vigilano sull'osservanza, da parte dei soggetti indicati al periodo precedente al cui capitale partecipano, dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno».
Si osserva, dunque, che parte dell'art. 4, dichiarato illegittimo, è stata reiterata dall'art. 25, d.l. n. 1/2012.
La disposizione, come è noto, è stata annullata dalla cit. sentenza n. 199 e, quindi, anche la sua reiterazione in altra sede normativa è da ritenersi illegittima, per invalidità derivata.
Pertanto, in ossequio ad un'interpretazione sistematico-evolutiva del dato normativo, si potrebbe sostenere l'esclusione delle società in house nonché delle aziende speciali affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali dal patto di stabilità interno.

Napoli 31 luglio 2012                                              Alberto Lucarelli

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